Dopo un lutto, come è meglio comportarsi?

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Quando rinunciare alla eredità, accettarla in modo puro e semplice o con il beneficio di inventario?

Non sempre è agevole capire cosa fare nel caso della perdita di un proprio caro.

Ci siamo già occupati di un caso realmente accaduto alla morte di un caro che ha generato disorientamento nella famiglia (leggi qui).

Se conosciamo bene “gli affari” della persona defunta – tutto sommato – non dovrebbe essere molto difficile. Molti problemi, però, potrebbero sorgere nel caso in cui non avessimo ben chiare alcune cose. Dalla comparazione veloce tra affari da imputare all’attivo ereditario (cespiti immobiliari, contanti, conti bancari, fondi investimento, etc.) e pendenze debitorie (pagamenti verso il Fisco, oneri e spese di vario genere, contratti di finanziamento posti in essere dal de cuius e non ancora conclusi, etc.) dovrebbe emergere, con relativa facilità, l’atteggiamento più opportuno da tenere e, dunque, cosa fare: accettazione pura e semplice o comportamenti dispositivi del bene, tipici dell’erede (cioè accettazione tacita), se l’attivo supera chiaramente e nettamente il passivo ereditario; rinuncia alla eredità se è vero il contrario, cioè un netto prevalere del passivo sull’attivo ereditario. Anche l’opzione della rinuncia è da ponderare, in ragione di tutte le articolazioni successive che essa comporta (come vedremo in altri articoli).

Ma se le cose fossero più nebulose e indistinte? Se il de cuius si fosse impegnato in fideiussioni o altro?  Se avesse contratto degli impegni a titolo oneroso con soggetti che potrebbero farsi vivi in seguito? Se conoscessimo troppo poco i suoi “affari”?  

Accettazione con beneficio di inventario

Questo è il caso in cui, prevalendo il dubbio, è consigliabile accettare con beneficio di inventario. Quest’ultimo istituto, infatti (484 c.c.), se ben gestito ovviamente, prevede una netta separazione del patrimonio dell’accettante da quello del defunto, impedendo che un eventuale creditore di quest’ultimo possa attaccare il patrimonio personale dell’erede che introita per successione. In concreto, l’erede risponde di debiti contratti dal defunto intra vires hereditatis, cioè con l’ammontare di quello che ha introitato acquisendo l’eredità, e non anche con il proprio patrimonio, nel caso che il debito del de cuius superi l’attivo ereditario. Per puro esempio: se eredito 20.000,00 € da mio padre, e poi scopro che lui ne doveva 80.000,00 al fornitore di beni che distribuiva, io posso rispondere al fornitore solo per i 20.000,00 € incassati, se accetto con beneficio.

Se ho accettato puramente e semplicemente (oppure ho compiuto atti da erede) in modo imprudente e frettoloso, allora il mio patrimonio si confonderà con quello di mio padre, diventando tutt’uno, ed il creditore potrà aggredirmi non solo per i 20.000,00 € che ho ereditato, ma direttamente per tutti gli 80.000,00 euro, attaccando anche il mio patrimonio personale per la parte eccedente all’ammontare dell’eredità, fino alla totale soddisfazione del credito vantato nei confronti del genitore.

Perché non accettano tutti con beneficio di inventario?

Innanzitutto, ci sono termini perentori di decadenza per il completamento dell’inventario. I costi, inoltre, sono più alti di un’accettazione pura e semplice, dovendo imputare ad essi anche la redazione dell’inventario con tutte le criticità potenzialmente connesse (cfr. artt. 485-487 c.c. e 769 c.p.c.). Ancora, è bene essere seguiti da addetti ai lavori per evitare di scegliere opzioni che potrebbero portare a situazioni indesiderate ed irreversibili, data la delicatezza della materia.  

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